Dignità per i giornalisti precari
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Ciao, mi chiamo Francesca Pasquali, ho 42 anni e faccio la giornalista. In realtà, dovrei dire facevo, visto che da più di un anno non pratico. Fare la giornalista era il mio sogno fin da bambina. Quando da piccola mi veniva chiesto cosa avrei voluto fare da grande, non avevo dubbi.
Ho frequentato il Liceo classico, poi la facoltà di Scienze della comunicazione. Dopo la laurea, ho collaborato per due anni con la redazione di un quotidiano online. Per ottenere l'iscrizione all'Albo dei giornalisti (registro Pubblicisti) mi sono dovuta rivolgere a un avvocato, visto che la testata con cui avevo collaborato non mi aveva mai pagata. L'Ordine ha bloccato la pratica perché non potevo dimostrare di aver ricevuto il compenso minimo previsto per ottenere l'iscrizione (e infatti non l'avevo ricevuto). Nel frattempo, l'editore della testata si è reso irreperibile e ho dovuto aspettare quasi un anno per ricevere la tessera. Insomma, un esordio non proprio dei migliori.
Poco dopo, sono stata assunta da una casa editrice. Formalmente ero un'impiegata amministrativa, di fatto facevo la giornalista. Dopo sei anni sono stata licenziata per ridimensionamento del personale. Per i sei anni successivi ho collaborato con la redazione di un quotidiano. La collaborazione - e arrivo al punto - si è interrotta per mia decisione. Una decisione terribilmente sofferta, ma non più prorogabile.
Venivo pagata ad articolo, troppo poco per il lavoro che svolgevo. Il compenso mensile si aggirava, quando andava bene, sui 600-700 euro lordi, a fronte di un impegno quasi quotidiano, da mattina a sera. Mi venivano assegnati gli articoli più impegnativi, poi pubblicati nelle prime pagine del giornale. Per scriverli, il più delle volte dovevo svolgere un lungo lavoro di ricerca. Mi sono stati affidati incarichi e responsabilità che non mi competevano. Gli orari sono diventati sempre più impegnativi. Conciliare vita lavorativa e personale sempre più difficile. Ho perso il conto delle volte in cui ho dovuto cambiare programmi o disdire appuntamenti già presi perché richiamata dopo aver terminato il mio lavoro.
Ho sopportato questa situazione perché avevo bisogno di lavorare e perché fare la giornalista mi piaceva, e mi piace ancora tanto. Ho resistito finché ho potuto. Ho tagliato dove potevo tagliare, ma, con affitto e spese quotidiane, alla fine, andare avanti mi è diventato impossibile.
Ho fatto presente la situazione alla redazione e al direttore della testata, ma le mie richieste sono rimaste inascoltate. Mi sono dimessa. Mi sono rivolta a un'avvocata e ho avviato una causa per provare a vedermi riconosciuto quello che, sono convinta, mi spetti. Non l'ho fatto per desiderio di rivalsa, ma per ridare dignità a me e a un lavoro che in troppi casi non ne ha più.
Ho passato due mesi chiusa in una biblioteca a scansionare tutti gli articoli da me scritti in sei anni. Ho passato al setaccio centinaia di file. Ho raccolto tutto il materiale che sono riuscita a trovare. Nella prima udienza del processo la controparte ha preso tempo. Il 23 gennaio ci sarà la seconda udienza, ma gli avvocati della testata hanno già comunicato che non arriveremo a un accordo.
Si prospetta, perciò, un processo lungo. Di solito, i grandi editori non hanno problemi ad andare avanti, se necessario, fino all'ultimo grado di giudizio. Per me il discorso è diverso. La mia avvocata non mi fa pressioni, ma non vorrei farla aspettare troppo. Le trasferte (il tribunale è in un'altra regione rispetto a quella in cui risiedo) hanno il loro costo, così come le consulenze dei periti a cui dovrò rivolgermi. Ma so che, arrivata a questo punto, andare avanti è l'unica cosa che posso e che devo fare. Per questo, ho deciso di aprire questa raccolta fondi. Ogni piccolo contributo sarà importante.
Organizer
Francesca Pasquali
Organizer
Ancona, MH