
Ho perso una mano.. aiutami a combattere la causa!
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Ciao sono Elisa Corda, classe 1985, tra qualche mese saranno 8 anni dal giorno che ha cambiato per sempre la mia vita.
Ho perso una mano in un incidente stradale mentre lavoravo, mi sono data allo sport, sono arrivata ad allenarmi in Nazionale Sfiorando l’idea di partecipare alle Paralimpiadi di Parigi 2024, ho creato un’azienda con la mia famiglia per rappresentare atleti paralimpici e da gennaio di quest’anno la mazzata:
E’ arrivata la sentenza del processo per la causa civile che vede coinvolto un camion della nettezza urbana cittadina: TORTO PIENO, 100% di colpa, qualcosa come 70.000€ da pagare oltre a tutti quelli già sborsati negli anni per difendere la mia verità nell’incidente.
Mentre anche l’azienda fatica a partire e mia madre investe gli ultimi risparmi per farla sopravvivere, mentre io e mio marito (che nel frattempo ha lasciato un lavoro a tempo indeterminato per seguire l’azienda), arriviamo quasi a divorziare stritolati dal peso delle spese e dei “si poteva”, “si doveva”, chiediamo una nuova consulenza legale e un nuovo perito a cui far riesaminare la perizia “negativa” sulla cui base si è giudicato senza mezzi termini.
Quello che viene fuori è scioccante, il perito che per sua prassi mette in campo più ipotesi di un accaduto, sulla base del lavoro del Collega incaricato dal tribunale ci dice che:
nonostante aver fatto 34-35 ricostruzioni con il programma PC Crash usato da Collega, inserendo i parametri da lui indicati sulla base di quanto dichiarato da chi guidava il camion, nessuna di queste rappresentazioni pone il mio veicolo nel punto di rinvenimento, o di “quiete” come lo chiamano,
al contrario modificando i parametri quali velocità e punto di impatto e ponendo il camion da dove ho sempre ipotizzato arrivasse, alla prima ricostruzione la dinamica si allinea con i ritrovamenti,
il perito del tribunale non ha richiesto nemmeno le foto in Jpeg alla municipale di Alessandria (luogo dell’incidente), cosa chè è basilare per poter svolgere un lavoro quanto più accurato possibile,
le foto (e questo lo si sapeva da prima) effettuate dalla Polizia Municipale sono in totale 34, di cui alcune della pozza del mio sangue e resti di carne e pelle, ma non ce n’è a distanze lontane dai 4 punti cardinali che permettano ricostruzioni a distanza di anni, perlopiù dettagli dei mezzi,
sul camion della nettezza urbana vi era presente una seconda persona per le attività di carico e scarico dei rifiuti, indicata nel verbale con nome e cognome, che non ha mai detto nulla sull’accaduto.
imputerebbero a me di aver tagliato strada al tir che affermava di viaggiarmi parallelo ma non vi erano strisce per terra all’interno di quella grande rotonda per far capire al guidatore a che punto della carreggiata ci si trovi,
inoltre il guidatore del tir afferma che dovesse prendere la quarta uscita della rotonda, mentre io la seconda, poco prima di dove ci si è impattati, per cui comunque non doveva essere alla mia destra.
Sulla base di tutto questo, (studio che mi è costato più di 2000€) ci sono estremi concreti per tentare di andare avanti con un appello, appello che costa altri soldi, con una perizia che costa altri soldi, con un avvocato che costa altri soldi.
Potevo farmi bastare quel “effettivamente non ho altre ipotesi che i fatti non siano andati come hai sempre descritto tu”.
Potevo smettere con lo sport e coi sogni paralimpici, trovarmi un lavoro come tanti e pagare tutte le spese legali finché non avessi finito, oppure vendere le case dei miei nonni faticosamente comprate in una vita di risparmi.
Potevo incassare il colpo come spesso ho fatto nella mia vita con altro, etichettandolo come l’ennesimo.
Oppure no..
Per questo sono qui.
Voglio continuare combattere per difendere la mia verità, a costo di aprire anche profili tipo OnlyFans per contenuti per adulti.
Se volete sostenermi questo è il motivo per cui sono anche qui su GO FOUND ME!
Volete sapere altro di me?
Partiamo dal momento in cui tutto è cambiato.
Il 1 luglio 2016 ero sulla mia auto aziendale e un forte urto in rotonda con un camion della nettezza urbana ha fatto ribaltare la mia auto, il finestrino aperto.
La mano sinistra nel ribaltamento sbalzata fuori.
La mano sotto la macchina schiacciata.
La macchina sopra la mano che la schiaccia e la trascina via per metri sull'asfalto.
Apro gli occhi non essendo mai svenuta, e vedo davanti a me uno spettacolo orribile: la pelle abbronzata del braccio e del polso lasciavano spazio al bianco freddo delle ossa sul dorso di quel che rimaneva della mia mano, il pollice con l'unghia laccata che penzolava.
Trasferimento nel primo ospedale e trasferimento d'urgenza al CTO di Torino più specializzato.
96 giorni.
Interminabili le ore di intervento dei primi giorni poi il responso: bisognava iniziare ad amputare le falangi.
Nella prima settimana ho scelto tra suicidarmi o abbracciare la vita e combattere per uscire da li col sorriso, nonostante i medici abbiano provato di tutto:
oltre all'amputazione, prelievi cutanei dalla gamba, sanguisughe, morfina, intascamento della mano in pancia per 50 giorni, prelievi di pelle addominali, addominoplastiche, revisioni su revisioni e altre amputazioni.
Esco di li, voglio fare qualcosa che non ho mai fatto prima: entro in palestra e mi cerco un personal trainer, che voglia lavorare con la mia condizione per tornare in forma.
Quel personal trainer col passare dei mesi, mi fa battere il cuore.. relazione, di li a poco convivenza e quasi allo scattare dell'anno assieme concepimento di un figlio voluto da entrambi.. tutto stupendo.
Ma questa non è una favola.
15 giorni prima di partorire scopro che mi tradisce da 4 mesi.
Altro colpo. Altra batosta.
Decido di guardarmi allo specchio e dirmi che, forse non meritavo molto ma nemmeno così poco, e che nella pancia avevo una bimba a cui insegnare che il valore di se stessa era più importante del valore che le potevano dare gli altri.
Partorisco e mi mettono questa creaturina in mano, e in quella piccola stanza rosa, con la mia bambina, capisco che siamo io e lei il centro del mondo.
Uscita di li, potevo andare dai miei adorati genitori, ma sarei stata AIUTATA e COCCOLATA, ma io avevo bisogno della terapia d'urto per capire come sopravvivere.
Torno a casa, la mia casa in cui convivevo con lui, piena di foto e ricordi e capisco da sola come fare a cambiare un pannolino con una mano, come chiudere i bottoncini delle tutine o aprire un omogeneizzato coi denti. Volevo questo. Farcela da sola.
Con le UNGHIE e con i DENTI così come son venuta fuori da un letto di ospedale.
Una sera mi arriva un post su istagram dal padre di mia figlia, parla di PARALIMPIADE, paralimpiade di sollevamento pesi o para-powerlifting.
In quel momento capisco che è li che voglio arrivare: io che sportiva non ero, sul tetto del mondo come atleta con disabilità.
Con lui come allenatore due settimane dopo inizio il mio percorso in palestra e 10 mesi dopo arrivo al primo Campionato Italiano all'interno del Rimini Wellness, contro normodotati dove vinco e stabilisco un nuovo record italiano.
Altri campionati Italiani, altri record in giro per l'Italia, Europeo e Mondiale, vinti anche questi, partecipavo in tutte le federazioni che mi facevano gareggiare, anche quelle meno pulite dal doping.
Mai le Paralimpiadi, la FIPE (federazione italiana pesistica) mi risponde che attualmente sono aperti a persone con disabilità agli arti inferiori.
Altro colpo. Altra rabbia.
Avrei voluto un camino acceso per tutte le mie belle protesi fucsia, le prime in Italia fatte dal Centro Protesi Inail per questo sport.
Nel 2020 muore mio padre per covid, da solo in ospedale, in 5 giorni.
Sono io che vado a recuperare i suoi effetti personali messi in un sacco della spazzatura, a scegliere bara e fiori, con mia madre distrutta a casa e mia figlia piccola che chiedeva del nonno.
Altro colpo. Altra batosta.
Cerco di rialzarmi.
Non mi do’ per vinta, lavoro in quella stessa palestra in cui mi allenavo cercando di aiutare gli altri, appassionandosi come me a quello sport che tanto odorava di metafora di vita, con i pesi che ci vogliono schiacciare e noi col dovere di tirarci su e sollevarli via, accogliendo le persone al grido di “se ce l’ho fatta io, tu con tutti i tuoi pezzi stai già un sacco avanti”.
In quella stessa palestra nello stesso anno conosco Gavino, quello che a oggi è mio marito e compagno di mille battaglie, ridà linfa alla parte combattiva di me e grazie a lui mi stacco dal cordone ombelicale che mi legava a quel mondo, spinta dalla curiosità di provare il mondo sportivo all’esterno di quelle 4 mura.
Vengo corteggiata dal Comitato Italiano Paralimpico dapprima per lo sci di fondo, sport in cui in Italia non c’era una donna in squadra, e senza aver mai messo gli sci ai piedi mi ritrovo in Slovenia in un centro olimpionico a fare lezione.
Mi affianco, mese dopo mese, alla nostra nazionale seguendoli allo Stelvio, a Livigno e passando ogni weekend dei primi mesi del 2023 a Entracque con un maestro e debuttando nel primo campionato Italiano a Cortina ad aprile.
A fine Febbraio durante una trasmissione televisiva a cui partecipavo in veste di atleta paralimpica, incontro un amico e atleta di vecchia data, Gianfilippo Mirabile, mi propone di provare il canottaggio..
Con lo stesso mood con cui ho accolto lo sci, ho risposto.. perchè no?
Io avevo paura degli sci e dell’altitudine e non nuotavo dove sapevo di non toccare, e mi sono ritrovata su piste ghiacciate così come su una barchetta in carbonio di 20 kg in mezzo ad un lago profondo con tutto che si muoveva, e io che non avevo la minima idea di cosa dovessi fare.
In entrambi le occasioni alternavo pensieri da “ma cosa ci faccio io qui?” a “ma guarda dove sei e a fare che cosa”..
Il 1 marzo convocata in raduno di canottaggio e 4 giorni dopo ammessa ufficialmente in squadra, nemmeno 2 mesi dopo a maggio i primi Europei in diretta su Rai Sport.
Un attacco di panico prima di andare in partenza in barca col mio compagno di squadra e la consapevolezza che mio padre da lassu’ sentendo il nome di sua figlia, sorridesse.
Una stagione estiva ricca di momenti altissimi e bassissimi, di gare tra l’Italia e l’Europa tra vittorie e sconfitte, tra competizioni in cui se credevo in me potevo spingere sull’acceleratore oppure trasformarsi nel peggiore dei miei incubi, di settimane lontano dagli affetti specialmente dalla mia piccola che a volte capiva e a volte no a momenti di estremo cameratismo e unione con le compagne.
Fino ai mondiali di settembre a Belgrado, valevoli per i biglietti di qualificazione di Parigi.
Una volta tornata a casa la verità degli ultimi mesi del 2023 è che l’azienda non girava, di tutte le aziende interessate e degli atleti che non vedevano l’ora non si è visto nessuno.
I problemi economici e la ciliegina sulla torta della sentenza di gennaio 2024, sono stati quasi fatali a noi come coppia, famiglia e azienda.
Sto portando in giro nelle scuole la mia testimonianza, lo faccio come testimonial del Centro Protesi Inail in convegni e manifestazioni.
Sogno di terminare i miei libri autobiografici e di dire un giorno a mia figlia:
“Amore è stata dura, ma mamma ce l’ha fatta.”
Organizer

Elisa Corda
Organizer
Casale Monferrato