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Il Teatro della Contraddizione, il 29 luglio, rischia di chiudere.
Non chiuderà per l'emergenza Covid, che certo ha peggiorato la situazione, sono le leggi dello Stato che lo espongono a questo rischio.

English version at the bottom - Version française en bas de page

Il Teatro della Contraddizione è una realtà culturale di Milano, uno spazio da 99 posti, che dal 2000 ha sede nello storico quartiere di Porta Romana. E' un progetto nato dal basso, che, secondo le leggi economiche, non dovrebbe esistere così, senza appoggi, legittimazioni, senza genitori culturali, economici o politici. Una possibilità rubata alla cruda realtà, grazie alla passione e alla lucida follia di tutti gli utopici passati da qui in questi 20 anni: un noi fatto di artisti, tecnici, spettatori. In nome di qualcosa di più grande di noi, un'Opera, un Progetto, un ideale artistico, abbiamo messo in secondo piano l'utile personale per esaltare l'urgente, il necessario. L'attitudine a mettere davanti a tutto la funzione artistica e sociale ci ha portato fin qui, così come l'idea di lavorare per un bene comune, quando intorno le istituzioni gridano che l'arte è prima di tutto un'impresa. Questo, in grande sintesi, è il genere di Noi che è stato condannato penalmente per esercizio abusivo di locale di pubblico spettacolo. E cosa c'è di più assurdo che accusare questi utopici dell'arte, se non di essere degli imprenditori?

Il Reato consiste nell'aver fatto entrare due agenti della polizia annonaria, che si sono finti spettatori, facendogli la tessera associativa la sera stessa dello spettacolo, mentre gli altri spettatori, quelli veri, erano tutti tesserati. Sia chiaro, i vigili non c'entrano, mandati, facevano il loro lavoro.

A partire da questa condanna è scattata la macchina burocratica dello Stato, con ripetuti controlli ed infine prescrizioni.
Se non faremo entro il 29 luglio una serie di lavori e non produrremo le certificazioni richieste, il teatro verrà chiuso con l'aggravante di una multa pesante. I lavori restanti ammontano a 70.000 euro. Una cifra molto alta, insostenibile per noi.

Ci siamo rivolti a varie istituzioni ma nessuna può o vuole venire in nostro soccorso. Non è una situazione singolare, è sistemica, non esiste nessun percorso che permetta, dimostrata la propria capacità organizzativa e artistica, di trasformare uno spazio privato in uno spazio pubblico. Per questo tutti gli spazi culturali si devono rifugiare nell'associazionismo, unico rifugio precario che consenta di fare cultura dal basso. E su tutti pende una spada di Damocle, basta una persona, un controllo e tutto può crollare. Lo sanno tutti: lo sa chi va a fare i controlli, lo sanno le istituzioni, soprattutto quelle territoriali; tutto però è lasciato alla discrezione dei singoli comuni, si tollera, si chiude un occhio, per non assumersi la responsabilità di dare una risposta collettiva ad un bisogno, che consenta l'esercizio dell'attività culturale, libera e democratica. Le barriere economiche costituiscono la censura contemporanea; la sicurezza, con i suoi parametri stringenti, soffocanti per un teatro piccolo, crea una selezione di specie, la specie più povera deve per forza essere rappresentata dalla specie più ricca. Noi siamo per la pluralità, è un bene che la ricchezza venga investita in cultura; che aprano pure altri 1000 spazi culturali, purché non ci siano ostacoli a che tutti siano rappresentati. E quando parliamo di rappresentanza non ci riferiamo solo a chi gestisce quello spazio, ma anche a chi può permettersi di frequentarlo. Perché è cosa nota che i grandi teatri sono finanziati per la gran parte da fondi pubblici, quindi fondi della comunità, ma che solo pochi possono permettersi di entrarci, dati i prezzi proibitivi. E' ovvio che la responsabilità non è dei teatri ma dell'insufficienza dei fondi erogati dallo Stato, ma la situazione non cambia: chi non può permettersi di andare a teatro finanzia chi può permetterselo. E' paradossale ma questa è la realtà.

Abbiamo aspettato fino all'ultimo, ma siamo qui e ci rivolgiamo a voi in questo momento difficile per tutti, perché il tempo sta scadendo e in qualche modo, anche fallimentare, dobbiamo reagire. La situazione meno piacevole che potesse capitarci è quella odierna: lanciare una richiesta di aiuto quando tante realtà rischiano di affondare. Noi ci abbiamo provato, per 20 anni, da soli, cercando un aiuto in pratiche istituzionali, accessibili a tutti, trasparenti, ma queste pratiche in Italia non esistono. Abbiamo lottato, sfruttando noi stessi, siamo arrivati sin qui, ed è un traguardo per noi, ma è chiaro, non possiamo più farcela da soli.
Anche se è questo che avremmo voluto, in cui abbiamo creduto. Non pensiamo sia giusto essere qui, a chiedere un gesto straordinario a voi, un gesto che ci salvi. In un paese sano questo non dovrebbe accadere, non dopo 20 anni di duro lavoro per la comunità.
Ma non abbiamo scelta.

Tutti i donatori saranno invitati a lasciare la propria impronta e il proprio nome sulle pareti esterne del TDC; un rito lungo un giorno, per firmare il salvataggio del teatro.

La Realtà artistica della Contraddizione

Il Teatro della Contraddizione è un luogo, una compagnia, una comunità.

Nel 2000 prende il via la Stagione Sperimentale Europea, un vero confronto con compagnie indipendenti italiane ed europee, un processo che ha portato il TDC a ricoprire il ruolo di “incubatrice” regalando spazio e tempo a quelle compagnie di grande qualità ma di poche risorse, che ha consentito agli artisti di sviluppare la propria identità espressiva, senza conformarsi a ciò che nel mercato ha un riscontro immediato.

Per il TDC, sia come realtà produttiva che di ospitalità, la ricerca di una nuova grammatica contemporanea e allo stesso tempo la costruzione di nuovi ponti verso il pubblico sono strumenti necessari per intercettare l'essere umano in continua trasformazione, per mettersi al suo fianco e affrontare il suo e il nostro spaesamento.

Palcoscenico su cui è passato parecchio del bello delle ultime stagioni. Una voce fuori dal coro capace di selezionare fra le ombre. Dove la ricerca sul nuovo diventa perentoria. Nei linguaggi e nei temi” (Diego Vincenti, Il Giorno)

...il Teatro della Contraddizione propone creazioni che hanno la cifra dello spettacolo-happening, dell’incontro teatral-performativo, qualcosa che esorbita dalla logica della fruizione teatrale in senso stretto. (…) Un tipo di teatro che viene proposto e praticato solo in questo spazio a Milano, e in realtà potremmo dire che è una cifra unica e irrintracciabile, anche cercando altrove.” (Renzo Francabandera, PAC)

La scadenza per il completamento dei lavori è stata prorogata al 29 luglio 2020.

L'ingresso del Teatro della Contraddizione, via della Braida n. 6 - 20122 Milano

Tutti i fondi raccolti dal Teatro della Contraddizione e dal suo team andranno direttamente al Teatro della Contraddizione, senza intermediari. Le donazioni verranno impiegate dal Teatro della Contraddizione per pagare i lavori di adeguamento della struttura, le relative certificazioni e tutti i costi inerenti le pratiche burocratiche connesse all'adeguamento.


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English version


Teatro della Contraddizione (“TDC”) is an independently run theatre based in Milan, Italy. It may close permanently on July 29th.
Covid-19 is not the cause, although it has certainly made the situation worse. 
Rather, the laws of the Italian State are responsible for the danger in which TDC suddenly finds itself.

Teatro della Contraddizione is a registered “cultural association”, a 99 seat theatre space operating for the past twenty years in the historic district of Porta Romana, Milan.
TDC is in every sense a grassroots project. It is a theatre which receives no public funds, has no cultural partners or political sponsors, and exists in complete defiance of any economic imperative, or indeed logic.  TDC exists thanks only to the passion and lucid madness of all the utopian idealists who have entered its doors for the past 20 years; be they artists, technicians, or spectators.
We have always put our artistic and social function ahead of everything (including ourselves) and always with a key idea in mind: a theatre must work for the common good. Meanwhile official institutions regularly remind us that art must be, above everything, a successful commercial enterprise. So, it is grimly ironic that we have been convicted of an “abusive exercise in running a public entertainment activity”. We feel compelled to ask: what could be more absurd than accusing us, idealists and utopians, of being entrepreneurs?

So what exactly happened? In Italy we are not allowed to operate as an officially recognised theatre. For bureaucratic purposes, we have to go under the banner of “Cultural Association”. By law, a spectator must be a member of our cultural association and have a membership card in advance of buying a ticket. One evening we welcomed two undercover police officers, posing as spectators, into our theatre and gave them each a membership card for our cultural association, so that they could buy a ticket and attend the play we were presenting that same evening. All the other spectators in attendance (i.e. the real ones) were already registered in our database, as required by law. Of course, the policemen had nothing personal to do with this, they were just doing their job.

We were immediately charged and subsequently found guilty by the courts. For simply selling a ticket to our show, we are now required to carry out building renovations, to the amount of 70,000 Euros. If we don’t carry out the work and produce the required certifications by the 29th July we will be closed down permanently. On top of that we will also receive a heavy fine.

That sort of money is impossible for us. We have approached numerous institutions, but none has offered to come to our aid. It is important to note that ours is not an isolated situation. Rather, it is a systemic one. In Italy, all cultural associations operate underneath a Sword of Damocles: a single person, a single complaint, a single official visit, is enough to make it collapse. Everybody knows this, of course: inspectors, police officers, public institutions, local administrations. Yet everything is left to the arbitrariness of the individual municipal councils. Everybody turns a blind eye, so as to avoid taking responsibility for giving a collective response to a social need: the exercise of cultural activity, freely and democratically. 
In the contemporary world, economic barriers now constitute censorship. Stringent and suffocating health and safety regulations which restrict a small theatres from operating, create a selection of species: only the richest among us can afford to operate the smallest and poorest of  cultural activities. It is well known that big theatres receive most of their income from public funding (i.e. funds provided from the community, via taxation). However only the wealthiest among us can afford to buy a ticket, given the exorbitant prices. It is clear that the responsibility does not lie with the theatres but, rather, stems from the insufficient funds provided by the state. In other words, those who cannot afford to go to the theatre end up subsidising those who can afford to go. This is paradoxical, but this is reality.
We believe in plurality. It is a great thing that wealth is invested in culture. But all cultural spaces must be heard and represented. And when we talk about representation, we are not only referring to the voices of those who manage these spaces, but also the many voices of their public.

We have waited until the very last minute to make this announcement, in the hope that we could come up with a different solution. But time is running out and we must act. That is why we have decided to turn to our community to ask for help. This is the most unpleasant decision we have ever made: launch a call for help when so many of us are at grave risk and every one of us is somehow in trouble. For 20 years we have been trying to get institutional help. We have struggled and we have exploited ourselves. We have come so far, and we have reached some of our goals, but it is now clear that, in order to continue to exist, we can no longer walk alone. Even if that is what we have always believed in, as an independent cultural venue.
We do not think it is fair to find ourselves in this position now, asking for an extraordinary gesture on your part, a gesture that can save us. This should not happen after 20 years of hard work for the community. Unfortunately, we have no choice.

______________________________________________________________________________________________________________________________________________Version française

Le Théâtre della Contraddizione risque de fermer le 29 juillet.

Il ne fermera pas à cause de l’urgence Covid, qui sans doute a aggravé la situation, ce sont les lois de l’État Italien qui l’exposent à ce risque. 

Le Théâtre della Contraddizione est une réalité culturelle de Milan, un espace de 99 places, situé dans le quartier historique de Porta Romana depuis les années 2000. C’est un projet né d’en bas qui, selon les lois économiques, ne devrait pas exister tel qu’il est, sans appuis, sans légitimations, sans parents culturels, économiques et politiques. Une possibilité volée à la dure réalité, grâce à la passion et à la folie lucides de tous les passés utopiques au cours de ces 20 ans: un « nous » composé d’artistes, de techniciens, de  spectateurs. Au nom de quelque chose de plus grand que nous-mêmes, une Œuvre, un Projet, un Idéal artistique, nous avons placé au deuxième plan le profit personnel, pour exalter ce qui était urgent et nécessaire. L’aptitude à mettre au premier plan la fonction artistique et sociale nous a soutenus jusque-là, de même que l’idée de travailler pour un bien commun, alors que tout autour les institutions crient que l’art est avant tout une entreprise. Ceci, en un mot, est le genre de Nous qui a été condamné pénalement pour exercice abusif d’un local de spectacle public. Et qu'y a-t-il de plus absurde que d’accuser ces utopistes de l’art d’être des entrepreneurs?

Le crime consiste à avoir fait rentrer deux officiers de Police, qui ont  fait semblant d’être des spectateurs, en leur établissant une carte d’inscription le soir même du spectacle, tandis que les autres spectateurs, les vrais, étaient tous inscrits. Que ce soit clair : les officiers de Police n’ont rien à voir avec cela car, en mission, ils accomplissaient leur travail. À partir de cette conviction la machine bureaucratique de l’État a démarré, avec des contrôles répétés et, pour finir, des ordonnances.

Si nous ne faisons pas avant le 29 Juillet une série de travaux et que nous ne produisons pas les documents requis, le théâtre sera fermé avec les circonstances aggravantes d’une lourde amende. Les travaux restants s’élèvent à 70 000€. Une somme énorme, insoutenable pour nous. 

Nous nous sommes adressés à plusieurs Institutions mais aucune ne peut ou ne veut venir à notre secours. Ce n’est pas une situation singulière, c’est systématique, il n y a aucun parcours qui permette, malgré la démonstration de sa capacité organisationnelle et artistique, de transformer un espace privé  en espace public. Pour cette raison tous les espaces culturels doivent se réfugier dans l’associationnisme, le seul refuge précaire qui donne la possibilité de faire de la culture d’en bas. Et sur toutes les associations est suspendue une épée de Damoclès, il suffit d’une personne, d’un contrôle, et tout peut s’effondrer. Tout le monde le sait: ceux qui vont faire les contrôles le savent, même les Institutions, surtout celles territoriales: cependant, tout est laissé à la discrétion de chaque municipalité, on tolère, on ferme les yeux pour ne pas prendre la responsabilité de donner une réponse collective à un besoin, qui autorise l’exercice de l’activité culturelle, libre et démocratique. Les barrières économiques constituent la censure contemporaine; la sécurité, avec ses paramètres rigoureux, écrasants pour un petit théâtre, crée une sélection des espèces, les espèces les plus pauvres doivent nécessairement être représentées par les espèces les plus riches. Nous, nous sommes pour la pluralité, c’est un bien que la richesse soit investie dans la culture; que l’on ouvre 1000 autres espaces culturels, à condition qu’il n’y ait pas d’obstacles et que chacun soit représenté. Et quand on parle de représentation on se réfère non seulement à ceux qui gèrent l’espace, mais aussi à ceux qui peuvent se permettre de le fréquenter. Parce qu’il est bien connu que les grands théâtres pour la plupart sont financés par des fonds publics, donc des fonds de la communauté, mais que seuls quelques-uns peuvent se permettre d’y entrer, étant donné les prix prohibitifs. Il est évident que la responsabilité n’est pas des théâtres, mais du manque de fonds accordés par l’État, et la situation ne change pas : qui ne peut pas se permettre d’aller au théâtre finance qui peut se le permettre. C’est paradoxal mais c’est la réalité.

Nous avons attendu jusqu’au dernier moment, mais nous sommes ici et nous nous adressons à vous dans un moment difficile pour tout le monde, parce que le temps est compté et que nous devons réagir, quelle qu’en soit la manière, même si défaillante. La situation la moins agréable qui pouvait nous arriver est celle d’aujourd’hui : lancer un appel à l’aide au moment où trop de réalités culturelles risquent d’être noyées. Nous avons essayé pendant 20 ans, tout seuls, en cherchant de l’aide à travers des démarches institutionnelles, accessibles à tous, transparentes, mais ces démarches n’existent pas en Italie. Nous avons lutté, en nous exploitant nous-mêmes, nous sommes arrivés jusqu’ici, et bien sûr c’est un beau résultat, mais il est clair que nous ne pouvons pas continuer seuls. Bien que ce soit ça que nous aurions voulu et qu’on y ait cru. Nous ne pensons pas que cela est juste, d’être là pour vous demander un geste extraordinaire de votre part, un geste qui puisse nous sauver. Dans un Pays sain tout cela ne devrait pas arriver, pas après 20 ans de dur travail pour la communauté.

Mais nous n’avons pas d’autre choix. En même temps, être sauvé par vous, la communauté, donnerait encore plus de sens au chemin parcouru jusqu’ici. 

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Teatro Della Contraddizione
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Team member
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Team member
Giulia Soleri
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